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sabato, Aprile 27, 2024

Pietro Vincenzo Gallo – Dirigente Istituto comprensivo statale “Karol Wojtyla” – Uggiano la Chiesa – Otranto – Giurdignano (LE).

 

Viviamo un momento drammatico, lungo già più di un anno, costretti al lockdown in tutto il mondo. Come lo sta vivendo il mondo scolastico? Quello della Puglia in particolare?

La scuola, nella sua più ampia estensione di “comunità educante” sta vivendo questo particolare e delicato momento con sfaccettature e risvolti diversi legati alla diversità delle sue componenti attive: i docenti, gli studenti, le famiglie. Per gli studenti le dinamiche divengono ancora più diversificate poiché, tra essi, ci sono bambini in tenera età, ragazzi e giovani adulti ognuno con proprie esigenze formative e di vita sociale. Basterebbe già questa premessa per comprendere quanto sia difficile gestire e affrontare questo periodo per il mondo scolastico. Assenza di relazioni sociali, di ansie, di paure, di gioie, di soddisfazioni legate alle prestazioni didattiche, di viaggi di istruzione, di momenti di condivisione ordinaria, di semplici momenti di relazione durante le pause didattiche (pensiamo alla semplice ricreazione) hanno provato i ragazzi. Nonostante siano stati definiti dal lontano 2005 nativi digitali e benché vivano costantemente il mondo digitale come parte integrante della loro vita, hanno scoperto quanto la virtualizzazione dei contatti sia solo qualcosa che deve servire a corredo di attività e non in sostituzione. Ma in questo momento è solo grazie alla tecnologia e alla virtualizzazione che la scuola può andare avanti. La scuola pugliese, esattamente come quella delle altre regioni, vive questo momento con tanta angoscia causata dall’incertezza che la situazione pandemica pone.

La scuola, però, già dallo scorso marzo 2020 non si è mai abbattuta. Forte del suo ruolo di principale agenzia formativa, si è da subito rimboccata le maniche e ha affrontato questa sfida dettata dal “nemico invisibile” e lo ha sfidato fornendo ai suoi studenti nuove metodologie e tecnologie per proseguire il percorso formativo. Certo, non sono metodologie che possono sostituirsi al contatto umano e alle dinamiche della “classe in presenza” ma sono comunque valide per supportare e garantire continuità. Le scuole hanno messo in moto la didattica a distanza e, poi, la didattica digitale integrata fornendo anche alle famiglie richiedenti dispositivi tecnologici in comodato d’uso per garantire sempre quell’equità che rappresenta la forza della scuola e di tutte le comunità.

Tra alti e bassi il motore si è avviato e i docenti, catapultati in questo difficile, ma allo stesso tempo affascinante mondo digitale, hanno garantito le lezioni assicurando, con sforzi e difficoltà, quella cultura e quei saperi di cui ogni studente necessita per raggiungere il suo successo formativo.

Ad oggi le scuole hanno ripreso le attività anche in presenza, in maniera articolata. Queste organizzazioni sono frutto di decisioni a volte estemporanee, dettate dalle dinamiche legate ai contagi, alla situazione epidemiologica contingente, alle legittime paure di famiglie e studenti. Il periodo è difficile, direi molto difficile, ma la scuola ha, tra i tanti suoi compiti, anche quello di aiutare i suoi studenti a comprendere e a superare le difficoltà.

I danni economici sono sicuramente gravi e con ripercussioni a lungo termine. Quali sono i danni alla crescita culturale, sociale e psicologica dei nostri giovani?

Il modo in cui stiamo attraversando questo periodo eccezionale e il modo in cui ne usciremo non è e non sarà uguale per tutti. Bambine e bambini e ragazze e ragazzi rischiano di essere tra le principali vittime indirette della pandemia, a causa dell’aggravarsi di condizioni di povertà, delle difficoltà nell’accesso all’istruzione e alla salute e dell’aumento esponenziale dei rischi per la loro sicurezza e incolumità.

In Italia, i dati aggiornati agli ultimi mesi mostrano un dato preoccupante in relazione alla situazione già grave prima della pandemia, circa i minori in condizione di povertà assoluta; in Puglia la situazione è delicata.

Oltre la povertà materiale e alimentare, l’emergenza sanitaria da Covid 19 ha spalancato un altro divario già significativo riguardo le opportunità di accesso all’istruzione. La chiusura delle scuole di ogni ordine e grado durante il lockdown e la riapertura a singhiozzo che stiamo vivendo, ha portato la Puglia e l’intero Paese a confrontarsi con ennesime fratture e distanze tra i bambini e i ragazzi che hanno visto garantito il proprio accesso alla scuola, e quanti invece ne sono rimasti esclusi, a causa di svariate motivazioni, non da ultimo, dalla scarsa disponibilità della strumentazione necessaria. La scuola è cultura, ma la scuola è soprattutto vita, relazione, vita sociale.

Sono ormai tante le voci di esperti in ambito pedagogico e clinico che, a partire da studi e approfondimenti, lanciano un allarme rispetto alle condizioni di reclusione degli adolescenti, che rischiano di determinare un costo altissimo per il loro sviluppo e la loro crescita. Chi era già fragile, oggi lo è di più, ma questo non deve spaventarci.

Ma al momento non abbiamo armi efficaci per tutte le situazioni, ma le stiamo affinando. La scuola deve garantire due diritti costituzionalmente sanciti: la salute e l’istruzione e, nonostante i due siano su un piano paritario, in queste circostanze pandemiche il diritto e la tutela della salute necessitano di un’attenzione ancora più particolare.

La scuola, però, non si spaventa perché guarda e vede la luce in fondo al tunnel, nonostante le condizioni epidemiologiche non la facciano intravedere. Ma la scuola ha questo compito: suscitare positività, energia, coraggio e forza nei suoi studenti. Ed è proprio per questo che la scuola organizza già la ripresa per fare in modo che nessuno dei suoi “figli” possa rimanere indietro e accumulare svantaggi a causa dello sbandamento cui è andata incontro. Crescita culturale e sociale sono e saranno i punti cardine dell’azione didattica di questo e del periodo futuro. Occorre che i ragazzi non si spaventino di fronte a un anno scolastico in cui non hanno potuto affrontare in modo regolare le loro attività. Ciò che al momento vivono come gap formativi, la scuola li colmerà perché la scuola ha le forze e gli strumenti per poterlo fare: ha l’amore per i suoi studenti, un amore smisurato che porta alla ricerca di tutte le misure compensative proprio come un genitore fa con i suoi figli.

In questo momento la scuola sta supportando in modo particolare la sfera psicologica degli studenti. Loro trascorrono le giornate tra aule virtuali, aule fisiche, grandi quantità di lavori didattici, di videochiamate con gli amici. Alcuni hanno una casa abbastanza spaziosa in cui non sentirsi completamente oppressi o dei genitori che non sono disperati perché non hanno più una fonte di reddito. Altri, costretti in spazi più limitati e nell’angoscia dell’incertezza economica, vivono questo momento come la concretizzazione di un incubo. Più si scava, più problemi emergono. Occorre sostenere i ragazzi con azioni didattiche efficaci, coinvolgenti e che diano spazio a tutti perché il bene dei giovani è il primo, sacrosanto dovere della scuola.

Gli adolescenti, i giovani in generale, sono il futuro, nostro e loro. Ma: come vivono il presente?

I ragazzi lo vivono in maniera più convinta e matura. Questo periodo li ha provati e li sta provando. Hanno scoperto un volto diverso della scuola, quello di una scuola a cui non possono e non vogliono rinunciare. I ragazzi non dicono “torniamo a scuola” o “restiamo a scuola” ma “restiamo scuola”. Non interessa dove la scuola stia: la scuola c’è, la scuola è!

In vari blog ho letto ragazzi scrivere: “Non sapevo come era bella la scuola!”. Perché lo scrivono? Perché non sapevano quanto è bella la scuola?

Non lo sapevano perché non interiorizzavano quello che stavano vivendo, lo vivevano esternamente non internamente. Lo vivevano come routine, percepivano la scuola come un contesto non propriamente loro, non propriamente vicino al loro modus operandi.

Quindi, questo, per i ragazzi, è un presente di riflessione. La riflessione è uno splendido atteggiamento intellettuale e non solo intellettuale, che ha bisogno del tempo. La riflessione ha bisogno di fermarsi, ha bisogno che l’uomo si fermi e recuperi dentro di sé tutti gli elementi affinché il mondo esterno si interiorizzi nell’idea nuova.

È quindi necessario che noi adulti, noi persone di scuola, in questo rapporto sbilenco che si è visto avere con le nuove generazioni, troviamo un nuovo approdo, un nuovo modo di dialogo. Bisogna riflettere, e anche pensando alle competenze, occorre riflettere su una valorizzazione delle competenze essenziali. Noi non possiamo permetterci più, anche se utilizziamo gli strumenti, di consegnare a una mediazione terza, cioè agli strumenti, il nostro sapere.

Quali proposte/consigli si sente di dare da Dirigente Scolastico?

Il mio consiglio è quello di non abbattersi mai, di fronte a nessuna situazione. Dobbiamo far crescere ragazzi e fare in modo che guardandosi allo specchio vedano riflesso un leone.

Questo terribile momento deve fare in modo che i ragazzi scoprano l’adattamento. È necessario che loro abbiano dentro di sé la capacità di mobilitare se stessi e non sentirsi persi. Devono essere capaci di guardare le stelle se manca la bussola. Cioè, l’improbabilità del futuro è un punto di crisi se non ne hai la consapevolezza e questo periodo ci ha fatto comprendere e ci sta facendo comprendere proprio questo. Se ne abbiamo la consapevolezza, ebbene, questa deve divenire un punto di opportunità e la scuola deve fornire anche queste opportunità.

Oggi i nostri ragazzi hanno sempre vissuto nella consapevolezza della ripetizione delle certezze contemporanee. Poi è bastato un click e queste certezze sono saltate. Dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi che l’incertezza deve divenire una nuova dimensione di normalità.

Pensiamo a questo periodo: i nostri ragazzi non hanno avuto l’orientamento per il passaggio al successivo ordine di scuola, non hanno potuto partecipare al così atteso viaggio di istruzione, si sono trovati catapultati in una nuova dimensione.

La scuola deve fornire agli studenti “bussole” insieme alla cultura di sempre, anzi ancora più cultura per poter comprendere a fondo come orientare la bussola o come osservare le stelle in sua assenza.

In termini didattici occorre soffermarsi nel formare la mente che pensa e non solo la mente che sa.

La situazione emergenziale ha fatto emergere queste problematiche ma non ci ha fornito i mezzi per affrontarle. Il nostro sforzo condotto sinora ci ha fatto comprendere che occorre pensare a una scuola in cui altre abilità sociali, o meglio, abilità sempre presenti ma che magari erano state poste su un gradino più basso, oggi devono avere un merito e un apprezzamento maggiore.

Da domani la scuola deve insegnare ai ragazzi a trovare le soluzioni ai problemi non solo fuori da se stessi ma anche dentro se stessi. Il ruolo dello studente nell’ambiente scuola ora va immaginato in un contesto più ampio e diversificato.

“Vivi e impara” diceva qualcuno, per riferirsi al ruolo che le nuove esperienze hanno nel modificare le logiche presenti.

Quello che è successo e che sta succedendo ci ha insegnato e ci sta insegnando tanto. All’inizio è stato arrembaggio, poi c’è stato un affinamento, poi una decantazione dell’arrembaggio e adesso siamo tutti in attesa che finisca.

Però dall’arrembaggio si impara che ai problemi occorre pensare con un piano A, un piano B e, perché no, anche con un piano C.

Per far questo occorre rielaborare una idea di sapere mobile, non plurimo non pluridisciplinare, ma mobile, abbordando l’antico con il moderno. Il sapere geografico, quello scientifico quello letterario e tutti gli altri non sono da mettere in discussione, ma occorre che la scuola pensi a formare il giovane, che intanto sappia vivere il mondo in cui vive e poi fornirgli una cassetta degli attrezzi.

Sembrano discorsi filosofici, avulsi dalla realtà: non lo sono. Sono frutto di riflessioni che io stesso sto facendo, pensando e maturando da dirigente scolastico su quanto stiamo vivendo, immaginando cosa possiamo dare come scuola ai nostri ragazzi. Mobilità non fisica ma mobilità del pensiero.

A cura di Gioia Catamo

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