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lunedì, Aprile 29, 2024

Tempo di fiere, il fascino di quelle di una volta

L’estate che sta finendo e l’autunno che si affaccia

Chi se li ricorda più i vecchi almanacchi, quello “universale” del Pescatore di Chiaravalle che si voleva fosse nato nel 1750, o quello “perpetuo” di Rutilio Benincasa, tutto meridionale perché opera di un calabrese e stampato a Napoli per la prima volta nel 1593? Ed il famoso Barbanera o l’ancora più famoso Frate Indovinonato nel 1945? Sono ormai appannaggio dei collezionisti di settore o dei bibliofili in cerca di rarità illustrate, eppure imperversavano nelle famiglie del secolo appena passato. Era obbligatorio consultarli ad ogni occasione possibile perché fornivano preziose informazioni di tutti i generi, in più erano al tempo stesso calendario ed oroscopo, ricettario e cabala, e contenevano notizie di agricoltura, floricoltura ed economia domestica. Ma riservavano anche – ed è questo il motivo per cui ho voluto ricordarli – molto spazio all’elencazione delle fiere, dei mercati delle sagre, regione per regione e qualche volta persino paese per paese, in rigoroso ordine alfabetico.

Ne ho riletto con attenzione qualcuno, e dalle vecchie pagine è emersa una geografia tutta pugliese delle fiere, che erano, allora, davvero tante: infatti la tradizione popolare, vivissima, mantiene fisso, ovunque, il giorno del mercato settimanale o della fiera annuale in onore del santo patrono. Da questa galassia variopinta e ben radicata, che va da San Severo al Capo di Leuca, ecco qualche episodio meritevole di memoria, se non altro perché reso illustre dal racconto del viaggiatore di turno o dalla firma dell’autore importante.

Locandina Promozionale Fiera di Bari -1933

Comincio naturalmente da Bari, e non solo perché è la nostra capitale, ma perché la Fiera del Levante si identifica nell’immaginario collettivo con la Puglia, di cui è un po’ la bandiera nonché l’incarnazione – mi permetto di dire – della parte pratica della nostra anima, dedita al commercio, levantina appunto. E non è possibile isolare questo carattere predominante perché convive con quello intimo, privato, fatto di sensazioni ed esperienze personali legate ad un passato non troppo lontano. Scrive Giuseppe Giacovazzo: «Un mito che torna festoso e materno: musa dell’infanzia per noi, emozione di un primo viaggio a Bari. E anche sentimento di apertura al mondo, alle vite diverse, scoperta di altri volti mediterranei. Angoli esotici, colori, vestimenti, suoni, favelle inconsuete. Bari non è una capitale sentita da tutti i pugliesi, ma c’è una parola che ci unisce: levante. Magico levante, noi siamo levante. La Puglia è un ricamo di palmizi nel vento, cambia questa terra eraclitea. Ma finché la vigna non potrà fare a meno di mani contadine, e finché i pescatori dovranno civare ad uno ad uno gli ami del cuonzo e tirare a braccia l’intramaglio, possiamo essere tranquilli, l’anima pugliese non cambierà: resteremo levante”. La “Fiera di Bari” – così si chiamava nel 1933 e così è scritto in una pubblicità di quell’anno – prometteva inimmaginabili novità che il simpatico cagnolino Nipper, mascotte dei musicofili, propagandava con la sua accattivante sagoma accovacciato in ascolto difronte al fonografo (così dicevano allora): era la replica di un celebre quadro di F. Barraud, La voce del padrone, che tutti conoscevano. E la “Fiera del Levante” ospitava, vent’anni dopo, spettacoli circensi di grande impatto emotivo, specialmente per i più piccoli, come la “meravigliosa” partita a pallone tra due squadre di cani applauditissimi: i colori erano naturalmente il bianco ed il rosso, della Bari (rigorosamente al femminile) e si trattava della versione di casa nostra dell’ormai collaudato e greatest “show” del circo Barnum. Uno spettacolo insomma, oltre che un centro di affari, molto coinvolgente ed emozionante: un’occasione per tutti, l’appuntamento settembrino annuale che segnava per le famiglie pugliesi la fine delle vacanze estive e l’inizio dell’autunno. In conclusione e aldilà di tutto è ancora valida l’opinione di Guido Piovene che nel suo Viaggio in Italia scrisse: «La funzione di Bari supera di gran lunga quella di capoluogo di una provincia: il fatto fondamentale di Bari è la Fiera del Levante, che rimane lo strumento più adatto per il commercio coi paesi orientali ansiosi d’industrializzarsi e perciò tutti compratori in potenza, ed il fatto nuovo è che essa ha trasferito in parte il suo raggio d’azione, volgendosi verso l’interno: è una scuola per l’intero sud e vuole essere un anello di congiunzione tra Settentrione e Mezzogiorno e favorire quella perequazione che oggi la nazione esige per il suo equilibrio politico. Bari vive due mesi sulla Fiera, ed è quella di Bari la fiera generale del sud come la Fiera di Milano lo è del nord: questa nasce come riflesso di una situazione raggiunta, quella di Bari ha una funzione dinamica, è strumento di trasformazione». Nulla da eccepire, dunque, a questo lucido ritratto, se non che siamo negli anni ’50: rileggendolo, forse, si insinua in noi un po’ di nostalgia che è bene però lasciar convivere con la realtà dei nostri giorni.

Fiera del Santuario dellʼIncoronata – Foggia

La Fiera dell’Incoronata a Foggia dimostra indirettamente l’antichità delle Fiere di Puglia e lo deduco da La terra di Manfredi, un bel libro di Janet Ross: alle attente osservazioni di questa donna dobbiamo molto noi pugliesi, ed i suoi bozzetti sono ormai diventati un classico. Viaggiatrice colta, non manca di ricordarne l’evento principale: “de jennaro 1259 Re Manfredo venne in Puglia a fare la caccia de la Incoronata, che havia 7 anni che non era stata fatta, et ce foro chiù de mille et quattrociento perzune”. Quindi origini ancora precedenti, la metà del secolo XIII, e l’attestazione della leggenda che voleva la Madonna nera rifiutarsi di essere trasportata in cattedrale, ed ostinatamente e miracolosamente restituita al luogo del ritrovamento, una “annosa quercia” allora in aperta campagna. La Ross con sensibilità tutta particolare scrive dei pittoreschi costumi dei partecipanti ed accoppia alla descrizione della lussureggiante natura circostante, la vivace scena che le si presenta: «Vicino alla chiesa dentro piccole baracche di legname si faceva gran commercio di rosari, giocattoli, dolciumi di dubbio aspetto, tamburelli, nocciuole. Il nostro cocchiere voleva che anche noi rendessimo omaggio alla Madonna girando tre volte intorno alla chiesa, ma la polvere era soffocante ed il caldo oppressivo, per cui ci rifiutammo con grande sua mortificazione». Il rituale prevedeva che i pellegrini “strascinassero la lingua sul pavimento per tutta la lunghezza della chiesa”, spettacolo giudicato giustamente più disgustoso che commuovente, poco onorevole per i preti “che profittano di una moltitudine ignorante e superstiziosa per imporre simili penitenze”, come poco onorevole risultava il commercio degli ex-voto, in tale abbondanza da essere riciclati a scopo di lucro. Ma lo svago principale della fiera è il ballo e l’impeccabile viaggiatrice si lascia coinvolgere e si emoziona: non accoglie l’invito rivoltogli, ma assiste partecipando alla scena “nel gran piano di Puglia, sotto un sole abbagliante, fra gli asfodeli, i finocchi selvatici ed i gigli di campo, per più di un’ora restammo lì incantati”. E cosa si ballava? “era un gruppo di montanari che eseguiva la pizzica-pizzica e la tarantella col più grande entusiasmo”. Sottolineo questo veloce passaggio del racconto: forse i fasti della notte della taranta – orgoglio salentino, come è noto – scaturiscono dall’Incoronata di Foggia? Anche questo sarebbe un vanto della fiera… “Meditate gente, meditate”, come recitava una vecchia pubblicità con la voce di Renzo Arbore, forse non a caso anche lui di Foggia.

Festa e Fiera della 3a domenica di ottobre Campi Salentina (Le)

Delle fiere del Salento a confronto con le altre, un manuale scolastico degli anni ’20 afferma testualmente: «La provincia che più ha visto soppresse queste istituzioni è la Terra di Bari, mentre il Leccese ne è ancora ricco». Ma anche questa ricchezza è ormai quasi del tutto dilapidata, perché ben altra cosa sono le fiere dei nostri tempi. Il ricordo del passato, le tradizioni rispettate e tramandate, la genuinità antropologica, oserei dire, e la partecipazione a tutti i livelli vanno scadendo a favore di un affarismo diffuso, della ricerca del puro divertimento, dell’evento da non perdere punto e basta.

Devo ricorrere al prototipo arcinoto dell’ingenuità salentina, al Bertoldo di Puglia, che in due parole bacchettava i potenti rimettendo ognuno al proprio posto: parlo di Papa Galeazzo perché persino lui frequentava le fiere e due in particolare si legano al suo nome. “Dopo una capatina al mercato delle carni bollite e delle salsicce fresche, specialità della rinomata fiera di Miggiano” l’arciprete di Lucugnano “dopo tante fatiche, mille prove e mille contatti, finalmente trovò il fatto suo, comperando un bel somaro”, lu ciucciu in dialetto. Quel suo asino divenne famoso perché Galeazzo, da gran buontempone qual era, per mettere fine alla curiosità insistente ed oziosa di chi incontrandolo gli chiedeva quanto era costato, fece alzare di soprassalto in piena notte i parrocchiani e ne comunicò ufficialmente il prezzo d’acquisto fra il panico generale e al suono incessante delle campane. Alla fiera di Supersano, legata al culto della Madonna di Celimanna, trovò invece modo di smentire la serietà del vescovo di Alessano: la festa era rinomata perché “richiamava gran concorso di fedeli, quindi si teneva mercato fiera e paniri”, ma la troppa confusione gli dava fastidio e pensò bene di tirare in ballo l’episodio dei mercanti scacciati da Gesù dal tempio. Il paragone sorprese il suo superiore che scoppiò in una fragorosa e contagiosa risata, con grande meraviglia di tutti. La fiera come momento liberatorio insomma, dove si può dire (e forse fare) di tutto, dove ognuno può tornare ad essere se stesso, senza infingimenti.  E poi, si può non fare almeno un cenno alla fiera leccese di santa Lucia? Famosa fin dal ‘600 e ricordata dallo storico della Lecce sacraGiulio Cesare Infantino, apriva al periodo natalizio con l’esposizione di presepi, pupi e quant’altro: alcune foto sbiadite degli anni ’20 mostrano la curiosità dei bambini, rapiti dal fascino delle bancarelle, e ci sarebbe da chiedersi se è così anche adesso o se si tratta solo dell’album dei ricordi. Per ultimo last but not least il maggior scienziato leccese, Cosimo De Giorgi, alla Fiera di Campi, per la Madonna della Mercede. Burlone quanto papa Caliazzu, si fa ritrarre, anonima sagoma di tre quarti, in un angolo della cartolina-ricordo: il sito occupato dal bestiame e da una gran folla di interessati visitatori era evidentemente occasione troppo importante, da non farsela sfuggire, per osservare da vicino, ma senza essere riconosciuto, una vera grande fiera, specchio di un orgoglioso Salento d’antan.

Fiera dei “Pupi da presepe” – Lecce

Sulle note dell’immaginaria Fiera dell’Est, in cui come in ogni fiera che si rispetti era possibile comperare un topolino e sognare ad occhi aperti – così la famosa canzone di Angelo Branduardi – siamo alla conclusione di questa piccola antologia, non senza avere fatto riferimento però ad un classico, letto sui banchi di scuola che la chiude in bellezza. “Laggiù, verso la valle, la campana di S.Giovanni suonava la messa grande, accompagnata dal lungo crepitìo dei mortaretti. Allora il campo della fiera sembrava trasalire, e correva un gridìo che si prolungava, scendeva per le vie del paese, e sembrava ritornare alla valle dov’era la chiesa. Viva S.Giovanni!”. Chi scrive è Giovanni Verga, scavando nel folklore della sua terra, che diventa terra di tutti, anche di noi pugliesi. “La banda suonava in piazza allegramente, coi pennacchi nel cappello, in mezzo a una folla di berrette bianche fitte come le mosche, e i galantuomini stavano a godersela seduti nel caffè. Tutta la gente era vestita da festa, come gli animali della fiera, e in un canto della piazza c’era una donna davanti a un gran lenzuolo dipinto, dove si vedeva una carneficina di cristiani”. È lo scenario della tragica vicenda di Jeli il pastore, dramma della gelosia che finisce nel sangue, con la morte del rivale. “Tutta la piazza pareva un mare di fuoco per il gran numero di razzi che i devoti accendevano sotto gli occhi del santo, e c’era una folla tanto grande che mai s’erano visti alla fiera tanti cristiani…Jeli si mise a dormire fin quando lo svegliarono i primi petardi del fuoco d’artificio”. È l’indimenticabile spettacolo dei fuochi, nella fantasmagoria dei colori sullo sfondo delle stelle lontane, è l’ultimo atto della fiera, trionfo fiorito sullo schermo del cielo. Momento magico ovunque, patrimonio della Puglia, bellezza delle fiere di una volta!

di Alessandro Laporta

Pubblicato il 14ottobre 2022 ore 09:11

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