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Il ruolo dei dialetti nelle ripartizioni linguistiche regionali

La Puglia, come ricordava Strabone (VI, 3, 1, 11), in epoca prelatina, era occupata, nell’area barese e delle Murge dai Peucezi e dai Pedicoli, nella Capitanata e nel Gargano dai Dauni, nel Salento dai Messapi e dai Salentini. “Di queste popolazioni soltanto i Messapi si opposero alla espansione dei Greci in seguito ad una immigrazione importante cominciata a partire dal secolo VIII. Tra le città greche di Otranto, Gallipoli e Taranto, soprattutto quest’ultima ebbe a lottare ripetutamente contro la resistenza tenace dei vicini Messapi […]. Le rimanenti zone della Puglia, la Daunia e la Peucezia, videro sotto la cultura ellenica della Magna Grecia, un periodo di eccezionale fioritura, in cui le popolazioni messapiche di tali zone si fusero progressivamente con quella greca […]” (Stehl 1988: 698).

La divisione etno-territoriale non poteva non avere ripercussioni, in generale, sulla cultura, e, in particolare, sulla lingua, che nel corso dei secoli ha visto perpetuarsi la sua eterogeneità all’interno della regione. Anche la presenza latina e la conseguente latinizzazione determinò reazioni differenti: il Salento continuò ad usare il messapico in epoca imperiale, mentre il resto della regione accolse il nuovo modello linguistico-culturale di Roma. Proprio in età imperiale, la realizzazione della via Appia “legò Taranto a Brindisi, e consacrò in quel momento storico il confine di due tipi di cultura per cui restava segnata al Nord la cultura delle antiche popolazioni delle Murge, mentre restava segnata al Sud la cultura delle antiche popolazioni del tavoliere salentino” Mancarella (1975: 5). Una divisione che non fu alterata dalle successive dominazioni e che oggi noi possiamo definire grossomodo con due grandi aree dialettali principali, a loro volta articolate al loro interno:

  1. l’area centro-settentrionale che comprende le varietà apulo-dauna (distinta in foggiana; dauno-appenninica e garganica) e apulo-barese;
  2. l’area meridionale che comprende la sub-regione a sud del confine linguistico che Francesco Ribezzo (1912) tracciò lungo la linea Ostuni-Ceglie-Taranto e che secondo gli studi, soprattutto di carattere fonetico, può essere divisa in tre tronconi: a) salentino settentrionale, con centro egemone Brindisi; b) salentino centrale, con centro egemone Lecce; c) salentino meridionale, con varietà dominante otrantina e varietà secondaria gallipolina.

“La distinzione dei dialetti salentini da quelli pugliesi coincide con la distinzione geografica che oppone il tavoliere leccese al Sud e la catena delle Murge a Nord secondo l’arco della «soglia messapica»” (Mancarella 1975: 8), ossia di quella zona di transizione a nord-est di Taranto che separa le Murge dal Tavoliere salentino.

Lungo la depressione carsica corre cioè anche una linea immaginaria, il confine linguistico che va da Ostuni a Taranto al di là del quale gli accenti, i suoni, i ritmi, ma anche le parole e, più in generale, la grammatica delle parlate cambiano notevolmente. 

  1. Il dialetto barese

L’area barese, che si estende dall’Ofanto a Nord al confine settentrionale salentino a Sud ed ha come centro egemone Bari, presenta come tratti caratteristici, per esempio, i frangimenti vocalici, ossia i dittonghi spontanei cosiddetti ‘atipici’: gaddejnə ‘gallina’; la palatalizzazione, cioè la resa di A latina come “e”: Bèri ‘Bari’; le vocali evanescenti (dal suono indistinto) ə: dəménəchə; le forme dell’infinito tronche per la caduta della sillaba -re: parlá ‘parlare’, vénnə‘vendere’, dərmí ‘dormire’, la realizzazione dell’indicativo imperfetto in -ave: mangiàve ‘mangiavo’.

Inoltre, “la varietà di condizioni e di attività, e la duplice qualificazione socio-economica, agricola e marinara, conferiscono al lessico ricco e vario del capoluogo connotati di rappresentatività regionale, con sensibili caratteri di arcaicità dei settori tecnici e specialistici” (Valente 1975: 37). Alcuni esempi: saniízzə ‘terreno incolto’; sétəmelagrana’, kəlúmmə ‘fiorone’, lúzzə‘nasello’, angiddəanguilla’.

  1. I dialetti dauni e foggiani

La Daunia, un tempo occupata dai Sanniti, aveva una parlata omogenea ma, in seguito alla pratica della transumanza, che la metteva in comunicazione con l’Abruzzo ed il Molise, ha rafforzato le analogie con i dialetti di queste regioni, caratterizzandosi rispetto al resto dei dialetti pugliesi.

I dialetti dauni appenninici e garganici, nonostante presentino alcune differenze, registrano molti tratti comuni. Tra gli altri ricordiamo: la conservazione, fatte alcune eccezioni, della vocale latina accentata A: casə, panə, fratə; la conservazione, sul modello abruzzese, delle consonanti doppie latine -LL- (kallə ‘calla’). Per il lessico, “[t]ra le voci ritenute tipiche di tutta la varietà dauna abbiamo fəlanolə <<lungo palo>>, attaməndá <<guardare>>, tozzə<<pannocchia di granturco>>; il secchio di latte si chiama moltrə, la paglia delle pannocchie cóffelə, il mucchio di pietre cragnə” (Sobrero-Tempesta 2002: 32)

Tra i tratti caratteristici che differenziano il foggiano dagli altri dialetti dauni si registra la palatalizzazione della vocale latina A in sillaba libera, ossia terminante per vocale: käsə ‘casa’. Inoltre, il foggiano non conosce il frangimento vocalico, che invece caratterizza l’area barese.

Dal punto di vista morfologico, il foggiano presenta il condizionale, sconosciuto agli altri dialetti pugliese: sarrjə“sarei”. Per il lessico, invece, condivide molto di quello barese; alcuni termini, soprattutto legati al mondo pastorale, sono, invece, di derivazione abruzzese e napoletana.

  1. I dialetti salentini

 Fra i tratti specifici del Salento ricordiamo: il passaggio di b- a v- ad inizio di parola: vasiare ‘bocca’; vucca ‘bocca’, fino al dileguo, in alcuni casi, di v: ucca; la pronuncia cacuminale del gruppo consonantico tr: patre; la mancanza dell’infinito dopo i verbi servili: voju ddormu ‘voglio dormire’, tokka bbaw ‘devo andare’. Il fenomeno viene concordemente spiegato dai linguisti come tratto risalente al greco “o, meglio, al periodo in cui gli abitanti del Salento, passando dall’influenza greca a quella latina, furono – per lungo tempo – bilingui […]” (Sobrero-Tempesta 2002: 105).

Per il lessico, il Salento presenta un elevato numero di termini derivati direttamente dal latino: nel suo Vocabolario dei dialetti salentini Rohlfs, su 2000 lemmi, ne attribuisce 1000 all’etimo latino. Questi hanno avuto sorti differenti: alcuni sono stati sostituiti da forme più innovative: crai ‘domani’, puscrai ‘dopodomani’; altri hanno subito una risemantizzazione nel passaggio dal latino al dialetto: lat. CANNA, sal. canna ‘gola’. Non mancano, inoltre, termini derivanti dal greco, parole germaniche, arabe, spagnole e francesi, resti delle dominazioni che segnarono il Salento a partire dal Medioevo.

Confini linguistici che non coincidono con quelli amministrativi delle singole province della regione e racchiudono al loro interno “aree vaste” che nel corso dei secoli hanno condiviso vicende storico-culturali ed hanno costituito punti di forza di azione e reazione ad identità altre che hanno elaborato sistemi linguisti differenti, come manifestazione di un’ulteriore espressione di specificità territoriale.


Bibliografia      

Mancarella G.B., 1975, Salento, Pisa, Pacini.

Ribezzo F., 1912, Il dialetto apulo-salentino di Francavilla Fontana, Martina Franca, Apulia.

Rohlfs G., 1976, Vocabolario dei dialetti salentini, Galatina, Congedo.

Sobrero A.A. –Tempesta I., 2002, Puglia, Roma-Bari, Laterza.

Stehl T., 1988, Italienisch: Areallinguistik XI. Apulien und Salento, in LRL: 695-716.

Valente V., 1975, Puglia, Pisa, Pacini.


di Annarita Miglietta

Pubblicato il 6 marzo 2023 alle ore 17:14

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