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mercoledì, Maggio 8, 2024

Il pellegrinaggio cristiano e la Via Francigena

Il pellegrinaggio cristiano, pratica importante della vita religiosa e componente significativa della cultura medievale, è un tema di interesse pluridisciplinare sul quale esiste ampia letteratura (cfr. in Vantaggiato, 2012).Tra i tanti flussi di pellegrini che in età medievale raggiungevano qualche santuario del santo eponimo del luogo di culto per devozione (causa orationis) o per l’assolvimento di un voto (peregrinatio pro voto) o per avvertita esigenza di mortificazione interiore o espiazione oppure per disciplina penitenziale (causa poenitentia) (Vantaggiato, 2010; 2012), il più importante era quello che si dirigeva da tutt’Europa verso Roma e Gerusalemme, seguendo la «via Francigena» o meglio le «Vie Francigene», espressione con cui si intende un “fascio di strade” che nel Medioevo metteva in comunicazione le regioni d’Oltralpe con Roma. La strutturazione della strada, che sarà poi denominata Francigena, avvenne tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, come ha dimostrato Stella Patitucci Uggeri. Tale via fu individuata nella via passante per il valico di Monte Bardone, ricordata da Paolo Diacono a proposito di re Grimoaldo I, il quale, diretto a Benevento, seguì la strada che entrava nella Tuscia “per Alpem Bardonis”» (Dalena, 2014, p.13.).

Seguendo lo schema dei percorsi compostellani, descritto nel Codex Calixtinus (Berardi, 2008), l’itinerario illustrato dall’arcivescovo Sigerico da Canterbury a Roma nel 990 è considerato “l’archetipo di questa via, nonostante che il fine fosse l’investitura vescovile, piuttosto che il Wallfart”(Oliva, 2012, p. 219).

Via Appia Traiana

La denominazione “Via Francigena” si diffuse, per irradiazione sinonimica, in altri territori sensibili alla pratica del pellegrinaggio esteso a tutto il mondo medievale. La Francigena era utilizzata verso il nord da coloro che erano diretti a Santiago e verso il sud da palmieri e romei, i quali, una volta visitati i santuari di Monte Sant’Angelo e San Nicola di Bari, proseguivano per la Terra Santa (Caucci von Saucken, 1999; 2014). “Essa, rappresenta, quindi, un itinerario trasversale da ponte tra Occidente e Oriente” (Vantaggiato, 2012, p.112). Per completare e classificare il panorama viario transnazionale, di recente è stata coniata l’espressione Francigena del Sud, nella quale si è voluto riconoscere, come percorso principale di pellegrinaggio tra Roma e Gerusalemme, la via Appia nella sua variante Traiana, interpretando alcune fonti geografiche, cronachistiche, odeporiche e toponomastiche (Stopani, 1991; 1992; 2008). L’edizione di numerosi resoconti di viaggio, in particolare quelli successivi al XII secolo, più ricchi di una documentazione attenta sullo stato dei luoghi e i particolari urbanistici e architettonici, ha permesso, tuttavia, di ricostruire con maggiore attendibilità i percorsi tracciati sulla direttrice dell’Appia-Traiana (Stopani,2008)[1]. Le strade erano sovente le stesse, anche se non mancavano per il pellegrino percorsi alternativi maggiormente funzionali alle sue necessità e che giustificano la scelta dell’espressione Vie Francigene del Sud, intesa come “fascio di strade”, inserita in un articolato tracciato europeo che collegava i tre poli della cristianità (Roma, Gerusalemme e Santiago di Compostela) dal Nord Europa alla Terrasanta (Vantaggiato, 2012, p.114), la destinazione certo più ambita da tutti i cristiani. Con la sua complessa topografia leggendaria, per certi versi realizzata dagli stessi pellegrini nel corso dei secoli, la Terrasanta ha avuto, infatti, un ruolo essenziale nella costruzione dell’identità cristiana in Europa. “Era considerata l’omphalos del mondo, il centro geografico e storico dell’orbe terracqueo”(Alexander, 1999; Paczkowski, 2005 in Trono, Leo Imperiale, 2018)[2]. Gli esegeti medievali assimilarono la città terrena alla Gerusalemme celeste, ne fecero l’ “immagine di ogni perfezione e il perno di tutte le concezioni cosmologiche del loro tempo” (Duproit, 1993 in Marella, 2014, p.124). Definendo in maniera inequivocabile l’essenza stessa del Cristianesimo, Gerusalemme rappresentava, pertanto, il primo pressante obiettivo degli antichi pellegrini (detti “palmieri” dalla palma di Gerico che li contraddistingueva e che emerge in filigrana nei loro diari di viaggio; cfr. Marella, 2012a).

Fig.1. Itinerarium Burdigalense (333 d.C.) Fonte, Elaborazione di M. Leo Imperiale, G. Marella, F. Mitrotti, L. Oliva

Dopo la libertà di culto concessa ai cristiani con gli editti di Galerio (311), di Costantino e Licinio (313) e la costruzione delle chiese, vi fu un considerevole flusso di pellegrini diretti ai Luoghi Santi (Dalena, 2014). Importante fu la realizzazione del complesso del Santo Sepolcro, inaugurato il 17 settembre 335 e composto dalla basilica del Martyrion, da un triportico di collegamento e dalla rotonda dell’Anastasis, che conteneva la Tomba vera e propria (Biddle 1999; Pringle, 2007). Nel 339 fu consacrata la basilica della Natività a Betlemme sul luogo in cui era stato riconosciuto the Grotto of the Nativity in una porzione di un complesso sistema di strutture rupestri (Pringle, 1992, pp.137-157). I monumenti costantiniani in qualche modo ponevano il sigillo imperiale ad una devozione già presente a livello embrionale, sebbene solo la libertà di culto concessa ai cristiani da Costantino e la contestuale attività edificatoria delle importanti basiliche fecero di Gerusalemme una meta di pellegrinaggio istituzionalizzato (Perta, 2015, pp. 73-77). Le imponenti basiliche, oltre ad offrire una memoria viva dei fatti storici, davano anche espressione visiva a tutti i dogmi cristologici elaborati nei concili ecumenici del IV secolo, che sottolineavano la doppia natura, divina ed anche umana, di Cristo. I flussi dei fedeli verso Gerusalemme si implementarono soprattutto nel periodo tra i due Teodosio (378-450) e dopo la costruzione di importanti chiese: quella della Santa Sion, terminata tra il 392 ed il 394, della Tomba di Maria, di poco successiva, ed altre ancora.

I pellegrini in marcia verso Gerusalemme erano di “vario ceto sociale, monaci, chierici ed esponenti di rango della nobiltà, soprattutto della Gallia; s’incamminavano verso i Luoghi Santi: Apodemio di Burdigala, il diacono Sisinnio di Tolosa, Postumiano, Onorato di Lérins, le romane Paola e Fabiola, il diacono Nicea di Aquileia, il prete bresciano Gaudenzio, il bretone Pelagio e, dalla Pannonia, il diacono Eraclio e Castriciano” (Dalena, 2014, p. 12).


 

 


I diari di viaggio, analizzati dal Marella (2014), offrono una dettagliata descrizione dei monumenti cristologici e dei riti liturgici che i pellegrini antichi vedevano in Terrasanta, ma, soprattutto, consentono di conoscere i tragitti preferenziali, terrestri e marittimi, i tempi del viaggio e il ruolo assunto in quel contesto dai centri coinvolti. In generale, i pellegrini si spostavano utilizzando il sistema stradale creato in tutta Europa dall’amministrazione romana, ancora in piena efficienza in epoca tardo-antica, ed usato senza soluzione di continuità nei secoli medievali.

Per raggiungere Gerusalemme quanti provenivano dal Centro e dal Nord Europa avevano a disposizione una doppia possibilità: o scendere lungo le arterie italiane sino ai porti pugliesi, per poi proseguire via mare oppure inoltrarsi lungo la dorsale balcanica sino a Costantinopoli e quindi muoversi verso Gerusalemme lungo una rotta marina di costa oppure lungo strade interne dell’attuale Turchia e della Siria. Chi sceglieva la seconda opzione avrebbe potuto fare affidamento su un percorso più breve, ma denso di pericoli e impossibile da praticare in alcuni mesi dell’anno (tra marzo e novembre). Più spesso era preferita la prima soluzione.

L’Anonimo pellegrino di Burdigala (Bordeaux), autore di uno dei primissimi resoconti di viaggio – il celebre Itinerarium Burdigalense – utilizzò (a seconda della convenienza del momento) ambedue le opzioni (Cunz, 1190 in Marella, 2012, p. 200) (fig.1).

Fonte, Elaborazione di M. Leo Imperiale, G. Marella, F. Mitrotti, L. Oliva

L’Itinerarium riporta il percorso effettuato nel 333 d. C. dall’anonimo palmiere francese, elencando le tappe con le relative distanze, il nome e la posizione delle stazioni di sosta del cursus publicus tardo romano (Hunt, 1982). L’Itinerarium Burdigalense “richiama nell’insieme l’itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana ed è il più antico e completo documento odeporico, una specie di “Guida” ad uso di pellegrini cristiani diretti a Gerusalemme nel momento in cui – il IV secolo – il pellegrinaggio dall’Occidente verso i luoghi santi assunse rilevanti proporzioni” (Dalena, 2008, p. 41). All’andata, l’Anonimo di Bordeaux, partendo dalla sua città natale, percorse la Via Domizia da Tolouse ad Arles, valicò le Alpi al Moncenisio, attraversò l’Italia settentrionale da Torino ad Aquileia; da qui imboccò la valle del Danubio e piegò a Sud seguendo la Via Diagonalis, che si snodava diagonalmente attraverso la penisola balcanica. Dopo aver toccato Costantinople e alcuni centri interni della Slovenia, dell’Ungheria, della Croazia, della Serbia, della Bulgaria e dell’attuale Turchia, attraversò il Bosforo e proseguì via terra lungo i tratti interni del sistema stradale romano, passando per l’Anatolia e la Siria, sino a raggiungere infine la Palestina. Al ritorno l’Anonimo palmiere ripercorse le stesse strade mediorientali dell’andata, ma, una volta giunto a Costantinople, intraprese il percorso della Via Egnazia toccando la Tracia, la Macedonia e l’Epiro sino a Vlorë (Aulon o Valona). A Valona s’imbarcò e attraversò il canale sino ad Otranto. Dal centro salentino egli risalì tutta la penisola italiana lungo un itinerario “francigeno”, percorrendo, nell’ordine, la Via Traiana (perciò passando per Brindisi e Bari e proseguendo fino a Benevento), la Via Appia da Benevento a Roma, la Via Flaminia sino a Rimini ed infine la Via Emilia fino a Milano, dove termina il suo “Itinerarium” (Leo Imperiale, 2012). Emblematicamente “francigeno” è anche il percorso del sovrano Filippo II Augusto di Francia, che ricalca quasi nove secoli dopo le orme del suo anonimo connazionale di Bordeaux: sbarcato ad Otranto nel 1191 dopo un’infruttuosa spedizione crociata, il sovrano francese risalì la Traiana sino a Bari, operò una piccola deviazione per Trani e Barletta per visitare i celebri santuari locali, riprese poi l’arteria romana a Troia e proseguì alla volta di Benevento, Capua, Roma e quindi della Francia (Benedetto di Pietroburgo, 1885 in Marella, 2012,  p. 203) (cfr. fig. 2).

Fonte, G. Marella

L’invasione vandala e le azioni di pirateria nel Mediterraneo condizionarono il flusso dei pellegrini in Terrasanta, ma, nonostante i notevoli rischi, i fedeli continuavano a raggiungere i «luoghi della Passione del Signore, descritti in dettagliate guide itinerarie, come l’itinerario dell’Antonino Piacentino (ca. 570), la lettera sui luoghi santi di Eucherio, il Breviarius de Hierosolymadell’Anonimo (inizio VI secolo) e il De situ Terrae Sanctae di Teodosio (VI secolo)» (Dalena, 2014, p. 13).

A partire dal XI secolo, i porti pugliesi (salentini) rappresentarono un luogo di imbarco preferenziale per i pellegrini diretti in Terrasanta, le terre d’Outremer, come emerge dalla ricca letteratura di viaggio tardo-medievale (Federico, 2014).

I primi riferimenti in volgare ai porti salentini non appaiono nella manualistica di pellegrinaggio strictu sensu, ma, come era già accaduto col celebre Libro di Re Ruggero del musulmano Idrisi (metà del XII secolo)[3], in un prontuario geografico, il Compasso da navigare. Testo anonimo composto tra il 1250 e il 1265, il Compasso è il più antico portolano relativo alla totalità del Mediterraneo che sino ad oggi sia stato rinvenuto. Contiene indicazioni sui fondali marini, le correnti, i venti dominanti e sui procedimenti di attracco e sbarco. Dei porti segnala inoltre i possibili punti di riferimento (chiese, torri ed altri monumenti) e gli eventuali pericoli (soprattutto scogli e secche) e suggerisce spesso le modalità di un corretto accesso. “Nella loro essenzialità, tali informazioni lasciano trasparire il ruolo di Brindisi, Taranto e Otranto nel contesto della navigazione mediterranea del tempo. All’epoca Brindisi risultava uno scalo tra i più frequentati in assoluto dai viaggiatori diretti in Oriente, dotato di ogni servizio e di un arsenale capace di ricoverare, dopo la ristrutturazione ordinata da Federico II nel 1240, oltre venti galee. Il porto di Otranto si presentava più esposto ai venti e alle mareggiate. Alle imbarcazioni che giungevano da Santa Maria di Leuca, il prontuario suggerisce, infatti, di prestare attenzione agli scogli sottostanti il vecchio castello normanno-svevo. Ponendo quest’ultimo come principale riferimento dei naviganti, dunque, il Compasso ne ricorda l’ubicazione a Sud della città, disgiunto dall’abitato e a ridosso della scogliera” (Marella, 2012, p. 203 e segg.).

Così pure Roberto il Monaco, parlando dei preparativi per la partenza di Boemondo d’Altavilla alla crociata, ricordava che i Franchi giunti in Puglia si imbarcavano da Bari, da Brindisi e da Otranto. Pochi anni dopo (1101-1103 circa), anche il mercante anglosassone Saewulf, diretto a Gerusalemme, menzionò gli scali di Bari, Barletta, Trani, Siponto ed Otranto, questo ritenuto l’ultimo porto utile all’attraversamento dell’Adriatico. Dalle coste pugliesi si diresse verso Corinto, attraversò le isole greche dell’Egeo fino alle coste dell’Asia Minore. Da lì giunse a Cipro e quindi a Giaffa (Leo Imperiale, 2012).

Nel corso del Duecento il transito dei pellegrini lungo le strade pugliesi si ridusse sensibilmente, sia per la lenta agonia degli Stati latini d’Oriente, che culminò nel 1291 con la loro capitolazione per mani mamelucche, che per l’accentuarsi del brigantaggio e del malaffare nelle contrade del Regno angioino. Molti viandanti partivano da Venezia per poi percorrere una rotta di cabotaggio che portava la nave carica di pellegrini e mercanzie ad attraccare nelle principali località marittime e commerciali dell’Adriatico: Zara, Spalato, Ragusa, Durazzo ed altre fino al Canale d’Otranto.

I pellegrini confluivano a Venezia e stipulavano contratti di trasporto per i “servizi di linea” con i porti mediorientali di Giaffa, Beirut, Alessandria. In tale navigazione di lungo raggio – da Venezia a Giaffa occorrevano mediamente da tre a sei settimane – i porti pugliesi risultarono progressivamente declassati a tappe di cabotaggio, mentre lo scalo regionale preferito divenne quello di Leuca, anche in virtù del santuario di Santa Maria de Finibus Terrae, dove i pellegrini potevano ritagliarsi un momento di preghiera tra gli affanni della trasbordata. Approntando nel 1358 un itinerario immaginario verso la Terrasanta per il funzionario visconteo Giovanni Mandelli, Francesco Petrarca propose significativamente Leuca quale ultimo attracco italiano di una rotta che da Genova si snodava lungo le coste tirreniche e ioniche, e dal porto pugliese puntava quindi verso Corfù (Marella, 2012). Una rotta analoga seguì Simone Laccavela nel 1351: partito da Genova, navigò lungo le coste tirreniche e ioniche, si fermò a Crotone e, infine, presso il porto di Leuca (cfr. Dotson, 1985; Dalena; 2003; 2008 in Leo Imperiale, 2012).

Come indicano gli scavi archeologici condotti in città e la presenza di ceramiche importate dai territori dell’Impero bizantino (Arthur, 1999 in Leo Imperiale, 2012, p. 151), anche Otranto, nonostante la perdita di supremazia come nodo importante di traffici tra le sponde del Mediterraneo orientale, conseguita durante l’intera l’età bizantina, continuava a mantenere un ruolo commerciale almeno con la Grecia e il Mediterraneo orientale e nel trasferimento di viaggiatori e pellegrini diretti in Oriente.

Fig. 2. Itinerario di Filippo II Augusto (1191 d.C.) Fonte, G. Marella

Ad Otranto si fermò anche il 7 giugno del 1335 il domenicano Jacopo da Verona. Nel suo Liber peregrinationis, redatto ancora in latino, il religioso ci ricorda la preminenza raggiunta da Venezia, da cui salpa il 29 maggio assieme a “molti altri mercanti e pellegrini”, e la rotta per l’Oriente seguita dalla sua galea, che dopo aver lambito le coste della Morea meridionale si inoltra alla volta delle isole del Mediterraneo orientale, Candia, Rodi e Cipro, per giungere allo scalo finale di Giaffa[4]. Così pure, l’anonimo pellegrino inglese protagonista dell’Itinerarium Anglici Terra Sanctam (1345) scese lungo la litoranea adriatica sino ad Otranto, da cui, dopo una lunga attesa, nel marzo 1345 riuscì finalmente ad imbarcarsi a bordo di una goletta brindisina ben attrezzata contro gli attacchi dei pirati. Negli stessi anni (1344-1345) una piccola comitiva di pellegrini inglesi, desiderosi di raggiungere la Terrasanta dalla Francia, dopo aver visitato Roma, si diresse verso la Puglia, gens cuius est umanissima, si imbarcò ad Otranto e da lì, dopo alcune tappe a Corfù e centri del Peloponneso, Rodi e Cipro, sbarcò a Giaffa.

Basilica del Santo Sepolcro, Gerusalemme

Dalla fine del quattordicesimo secolo – ricorda il Cardini – i pellegrini di ritorno dalla Terrasanta e diretti a Roma “spesso scendevano dalle navi per visitare il santuario di Santa Maria di Leuca o per raggiungere altri prestigiosi santuari adriatici come Barletta […] San Michele del Gargano” (Cardini, 2002, p. 39; Pepe, Calò Mariani, 2013).

Nel corso del Medioevo, ed in particolar modo dalla prima spedizione crociata del 1096 sino alla caduta di Acri del 1293, l’itinerario per antiquam Rome viam rimase il più battuto tra quelli per la Terrasanta: un collettore che recuperava l’antica rete viaria di età romana per farne il nerbo centrale di un fascio di strade spesso alternative. In Italia meridionale e in Puglia, in particolar modo, il percorso ricalcava in gran parte l’arteria consolare traianea[5], che in alcuni tratti, come attestano le fonti, assumeva significativamente la denominazione di Via Francesca e di Via Francigena (Dalena, 2014).La Traiana, nella sua doppia variabile litoranea ed interna, “non si identificava con la sola strada consolare Appia-Traiana, ma anche con la Litoranea Adriatica (da Siponto a Bari), i regi tratturi ed i tratturi (o strade bianche)” (cfr Copeta, Marzulli, 2012, p. 238). Da Egnazia il tracciato volgeva verso Brindisi (Via Traiana) e, da lì, scendeva fino ad Otranto (Traiana ‘Calabra’), ramificandosi  in vari “circuiti” in tutto il Salento ed  interfacciandosi spesso con altri antichi tracciati devozionali.

Torme di militi crucesignati e pellegrini provenienti dal Nord transitavano per Roma e scendevano diretti ai porti di Brindisi e Otranto. Una volta espletato il loro voto, essi rientravano in patria ripercorrendo al contrario il tragitto: così come era già accaduto nella tarda antichità, dunque, la Traiana veniva a configurarsi come il tratto iniziale di un cammino idealmente “francigeno”, il quale, dopo Roma, proseguiva verso i passi alpini ricalcando le arterie consolari della cosiddetta “via di Monte Bardone” (Marella, 2014). Tra i luoghi di pellegrinaggio italiani di portata regionale e nazionale, il santuario di Santa Maria de Finibus Terrae, si configurava, quindi, come meta ultima di percorsi devozionali creati a partire dal Tardo Medioevo (Cavaliere, 2014)[6].

Era praticata anche dai pellegrini la Via Sallentina, la strada indicata da Strabone più comoda e idonea alla navigazione di cabotaggio da Taranto a Vereto e ad Otranto. Di notevole rilevanza in età messapica, essa aveva assunto solo un’importanza locale in età romana. Da Otranto, incrociando Vaste, Castro e Vereto, la Sallentina consentiva di raggiungere Capo di Leuca e da lì risalire verso Taranto lungo il versante occidentale del Salento, toccando Ugento, Alezio, Nardò e Manduria (cfr. Uggeri, 1975, p. 89).


Navata Basilica San Nicola Bari

NOTE

[1] Il Dalena nel suo contributo su  Il sistema viario peninsulare: questioni di metodo, sottolinea come il rinnovato interesse e l’uso della letteratura odeporica abbia consentito una «più adeguata riqualificazione storiografica della viabilità medievale» (cfr. Dalena, 2000, in Vantaggiato, 2012, p.113.)

[2]Notevole è la letteratura di carattere interdisciplinare sul tema dei pellegrinaggi e crociate in Terrasanta, dall’avvio del fenomeno nel IV secolo d.C. fino alla prima età moderna. Alcuni aspetti specifici del pellegrinaggio cristiano a Gerusalemme sono diventati branche autonome di studio, come la crociatistica, la storia delle crociate, mentre aumentano gli studi che riguardano la storia della storiografia sul pellegrinaggio nei Luoghi Santi (Trono, Leo Imperiale, 2018).

[3]«Nel trattato sulla viabilità del regno commissionato da Ruggero II, il geografo di Ceuta Muhammad ibn Idrìs – meglio conosciuto in Occidente come al-Edrisi o Idrisi – si sofferma volentieri sulle città portuali pugliesi» (al-Idrisi, Il libro di Ruggero, 1994 in Marella, 2012, p.203).

[4]Per approfondimenti cfr. Cardini, 2002, pp. 230-232.

[5]Sull’importanza della via Traiana nel quadro della viabilità medievale e dei pellegrini verso la Terrasanta vedi Stopani, 1992; Dalena, 2000, pp. 11-33 e 171-199.

[6]Questi cammini ai quali una vasta bibliografia, a volte troppo localistica, ha dedicato ampio spazio, sono stati concepiti anche dal punto di vista letterario già nel corso del tardo Cinquecento e del Seicento, quando una serie di scritti eruditi – su tutti l’opera Antichità di Leuca di Luigi Tasselli (1693) – identificarono un’ampia regione, il Salento meridionale, e le sue emergenze storiche, artistiche e religiose, come territori posti sotto la tutela della Madonna leucadense (Trono, Leo Imperiale, Marella, 2014).


Anna Trono

Docente di Geografia economica e del turismo presso l’Università del Salento, responsabile scientifico del Laboratorio di Geografia economi- co-politica. Si occupa di politiche di sviluppo regionale, turismo cultura- le e religioso, sostenibilità ambien- tale. Su questi temi ha pubblicato numerosi saggi e libri.

 

 

 


Pellegrini si ristorano presso un “ospitale” particolare di un affresco
Il riconoscimento della Via Francigena del Sud 
Nell’ottobre 2019 l’Associazione Europea delle Vie Francigene (AEVF) ha approvato all’unanimità la Via Francigena nel Sud, il nuovo percorso che da Roma arriva sino a Santa Maria di Leuca in Puglia (Trono, Castronuovo 2021).
La Via Francigena del Sud riconosciuta dal Consiglio d’Europa, come l’intero tracciato francigeno, riprende genericamente la direttrice medievale percorsa a partire dal IX secolo fino al principio dell’età moderna dalle popolazioni del nord Europa per giungere a Roma e poi proseguire per i porti di imbarco per la Terrasanta. Va considerato, tuttavia, che all’epoca lo stesso percorso dei pellegrini poteva variare per motivi di sicurezza ed oggi è stato adattato alle trasformazioni del paesaggio e ai processi di urbanizzazione intervenuti nel tempo e nel rispetto della sua percorribilità che va garantita ai camminatori (Trono, 2012).
Riguardo al nome che si è voluto dare a questo percorso, è opportuno aver chiaro che esso trova una ragione divulgativa per identificarlo come sviluppo ulteriore della Francigena di Sigerico, alla cui consolidata popolarità come cammino attrezzato aspira a connettersi per collegare la sede Apostolica ai porti di imbarco pugliesi. Sul piano dell’evidenza delle fonti, ma anche secondo una lettura costruttivista dei luoghi, è provato che le direttrici di questo viaggio, dalla tarda antichità ad oltre il medioevo, erano multiple e variabili nel tempo, e che lo stesso odonimo si rinviene in aree completamente discoste dal sedime che si vuole attrezzare. Tenendo conto della sostanziale unità dell’orbe cristiano nella visione degli antichi pellegrini, sarebbe forse stato auspicabile concepire una via unitaria, una grande dorsale europea congiungente i tre maggiori luoghi della cristianità (Oliva 2012, p. 227).
[1]Il Dalena nel suo contributo su  Il sistema viario peninsulare: questioni di metodo, sottolinea come il rinnovato interesse e l’uso della letteratura odeporica abbia consentito una «più adeguata riqualificazione storiografica della viabilità medievale» (cfr. Dalena, 2000, in Vantaggiato, 2012, p.113.)

di Anna Trono

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