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sabato, Luglio 27, 2024

La bellezza dell’attesa profumata di Natale

Il ritmo lento, quello del tempo, è quello che preferisco, ed è il ritmo che genera la lentezza. Non quella intesa come fiacca, poltroneria, flemma, lungaggine, ma la lentezza della calma, della pazienza e della dolcezza. Quel ritmo necessario perché avvengano le trasformazioni e poter poi godere del risultato. Il pensiero che in questa attesa stia succedendo qualcosa di meraviglioso, è esaltante. Ci sono processi di trasformazione lenti, a volte lentissimi, unica strada per arrivare a un risultato, come ad esempio il vino che con l’invecchiamento in botti o bottiglie evolve fino a regalarci sfumature aromatiche e gustative fantastiche; o ancora, il vino che con i batteri acetici lentamente si trasforma in aceto. La farina, che con i lieviti diventa pane e l’acqua del mare che il tempo e il sole trasformano in cristalli bianchi di sale. Tutte queste trasformazioni hanno in comune il ritmo lento del tempo. 

C’è un momento in cui il tempo sembra rallentare ulteriormente. Ecco, è qui che si crea la magia dell’attesa, ed è il momento che preferisco per qualsiasi evento. Condivido pienamente le parole usate dal filosofo e scrittore tedesco Gotthold Ephraim Lessing che così scrive: “l’attesa del piacere è essa stessa piacere”. L’attesa più lunga, quindi un piacere più lungo, che cresce di mese in mese è quella per il Natale. Mettiamo per un secondo da parte le religioni e osserviamo i momenti che fanno parte della tradizione. Bisogna custodire e tramandare questi tesori. Bisogna “educare” alla bellezza dell’attesa. Profumi che fanno parte dell’anima perché con essi si è formata, aria fatta di agrumi scaldati nell’olio con le spezie dolci come la vaniglia e piccanti come i chiodi di garofano e poi cannella, pepe, liquore che profuma di anice. Mai è stato così profumato l’odore del fritto. 

Una nota stonata in questo tripudio di felicità esiste, ma solo per i bambini: l’odore dello stoccafisso ammollato nell’acqua, per giorni e giorni in preparazione del piatto principe della vigilia di Natale. Con il suo sugo vengono accompagnati diversi formati di pasta. Uno è molto particolare nella sua realizzazione: sono i vermiceddhi, piccoli pezzetti di pasta fresca di sola farina di semola e acqua, fatti rullare tra pollice e indice, dalla grandezza e forma irregolare, paragonabile al grano di pepe, ma allungato. Ne servono tanti per fare un piatto e per questo motivo la loro preparazione impegna tutta la famiglia, riunita dal pomeriggio fino a sera, a produrre questi grani preziosissimi. Favole, ricordi e confidenze rallegrano il lavoro lento e paziente. 

Ogni momento del mese di dicembre è scandito da un ritmo che ha il suo profumo: si comincia l’8 dicembre con le pittule, la settimana successiva si preparano i porceddhuzzi, le carteddhate e il tronchetto di natale di pasta di mandorle con goloso ripieno al cioccolato e crema faldacchiera. Una vista meravigliosa e un profumo che ci accompagnano per tutto il mese. Ritmo lento… Quando potrò sentire il rincorrersi dei sapori, il dolce, la vaniglia, la cannella, l’agrumato, il miele che avvolge tutto e rilascia lentamente i sapori? …adesso, alla vigilia di Natale.

Mai attesa fu così dolce.

Il menu tradizionale di Natale vede sul podio i dolci porceddhuzzi , carteddhate, poi pittule,  vermiceddhi con il sugo di baccalà o stoccafisso, focacce, olive, cicorie, finocchi, formaggi freschi e stagionati, pesce o carne che ogni famiglia cuoce con la sua ricetta tradizionale.

Il cibo più buono arriva dalla tradizione contadina, come testimoniano molti alimenti che dalla povertà sono arrivati ad essere considerati eccellenze. Così, i porceddhuzzi sono nati dall’ingegno di una mamma che con i soli prodotti che aveva in dispensa si inventò un dolce di Natale per i suoi bambini: farina, arance, spezie, vino hanno prodotto un impasto che suddiviso a tocchetti e poi fritto ha dato vita ai porceddhuzzi. Con il passare del tempo la ricetta si è arricchita di miele e altri ingredienti che caratterizzano la ricetta di ogni famiglia. Con lo stesso impasto si formano le carteddhate, strisce di pasta arrotolate che ricordano l’aureola del Bambin Gesù, fritte e inondate di miele o vincotto. Il tutto rallegrato con zuccherini colorati chiamati anisetti. Questo piatto è talmente radicato nel territorio che il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali lo ha inserito nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali e nell’Atlante dei prodotti tipici alimentari pugliesi.

Accompagniamo queste delizie con un vino Salento IGT passito della cantina di Severino Garofalo: Briciole, un blend al 50% di chardonnay e malvasia bianca, il colore richiama quello del miele e dei porceddhuzzi dorati. Le uve raccolte a mano e surmature, subiscono un ulteriore appassimento su graticci, segue una soffice pigiatura e una fermentazione controllata in serbatoi di acciaio inox.       Il risultato è un vino piacevolmente vellutato, morbido con una elegante freschezza, note di spezie, miele e fiori bianchi ci accolgono al naso. Temperatura di servizio 11-12 gradi. 

Un pensiero personale. Il momento in cui viviamo ha un tempo scandito da un ritmo veloce, troppo veloce; siamo abituati a correre in maniera frenetica inseguendo i nostri obiettivi e con il nostro ritmo suoniamo un assolo, ignorando l’esistenza dei tanti ritmi che ci accompagnano formando la sinfonia della vita. Non li sentiamo, temendo che tutto sia un intralcio, rimaniamo senza respiro pur di non fermarci un attimo e non godiamo di questa meravigliosa orchestra che ci accompagna nel quotidiano. Per fortuna qualcosa sta cambiando, stiamo capendo che un ritmo lento ci porta ugualmente al nostro obiettivo godendo di tutti e di tutto. Forse, così, riusciremo ad avere il tempo per guardare oltre, accorgendoci che più in là qualcuno ha perso il suo, di ritmo, perché la sinfonia di “quell’orchestra” genera suoni sinistri… echi di combattimenti, che non vorremmo mai si ripetessero… invece, succede ancora.

di Maria Rita Pio

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