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domenica, Aprile 28, 2024

“Le Costantine”, dal passato al futuro

“Le Protagoniste”

Carolina De Viti De Marco

Carolina De Viti De Marco nacque a Casamassella, Uggiano la Chiesa, il 15 agosto del 1863. Sorella dell’economista Antonio De Viti De Marco ebbe una solida formazione di studi classici e filosofoci. Sposò Francesco Paolo Starace da cui ebbe due figlie: Lucia e Giulia a cui trasmise la passione per l’impegno sociale. Donna sensibile ai disagi e alla povertà della popolazione locale, e in particolare di quella femminile, pianificò insieme alla cognata Harriett Luthor Dunham, un’attività formativa e imprenditoriale a favore delle donne del Salento. Riuscì a valorizzare un patrimonio di saperi già esistente, cioè l’abilità nell’arte della tessitura e del ricamo, intraprendendo un’attività formativa e imprenditoriale a favore delle donne del Salento, affinché potessero conquistare l’autonomia economica. Per questo fondò la “Scuola di Casamassella”, che nel 1907 era frequentata da circa 500 ragazze tra i 15 e i 20 anni con risultati di assoluto rilievo, non solo sul piano economico e sociale, ma anche su quello artistico e culturale.

Harriett Lathrop Dunham

Harriett Lathrop Dunham meglio conosciuta in Italia come baronessa Etta De Viti De Marco. Era nata nel 1869 nello stato di New York, figlia di un finanziere statunitense di origini inglesi. Durante un viaggio in Italia, conobbe Antonio De Viti De Marco che sposò nel 1895, stabilendosi con lui a Roma. Molto vicina all’attività po- litica del marito, intervenne spesso nel dibattito politico ed economico, spesso con posizioni originali. Pubblicò articoli in diverse riviste, tra cui il Giornale degli Economisti. Fu una convinta sostenitrice dei diritti e dell’emancipazione delle donne, essendo una delle prime firmatarie della Petizione per il voto alle donne presentata al Parlamento nel 1906. Etta affiancò la cognata Carolina nella costituzione della Scuola di Casamassella, accompagnandola nella scelta dei disegni e dei tessuti e soprattutto nella promozione dei prodotti.

Lucia De Viti De Marco

Lucia De Viti De Marco figlia di Harriett Luthor Dunham e Antonio De Viti De Marco, nacque a Roma il 29 novembre del 1900. Dopo una felice infanzia soffrì per la scomparsa della madre, l’emarginazione politica del padre da parte del regime fascista e per la malattia mentale del fratello. La prematura scomparsa del marito, l’avvocato Gino Pecorella sposato all’età di 48 anni, la portò ad adoperarsi per il prossimo e da quel momento tutta la sua vita fu dedicata ad accudire e curare bambini in difficoltà. Nella grande villa di Fregene ospitò ragazzi che arrivavano dalla Puglia e dall’Umbria. Circa venti bambini, in tempi diversi, furono accolti e curati da Lucia. Lei li definiva amorevolmente “i miei pupi”, ricambiata nell’affetto da quei bimbi che la chiamavano “Signora” o, molto più facilmente, “Ora”. Ne curava il fisico con metodi innovativi: massaggi, ginnastica, medicamenti rigorosamente omeopatici fatti venire dalla Svizzera o dalla Germania. Al pari della cugina Giulia, Lucia coltivava il progetto di un centro che fosse luogo di cura, di benessere e di crescita per i giovani. Poco prima di morire, nel 1989, seguendo le orme della cugina, destinò i propri beni alla Fondazione Le Costantine, donazione che ha consentito il restauro della masseria della tenuta. È per ricordare Lucia, dunque, che questa oggi prende il nome di “Casa di Ora”.

Lucia Starace

Lucia Starace figlia primogenita di Carolina De Viti De Marco, nacque a Maglie il 28 ottobre del 1891 e morì nel 1983. Nel 1910, a soli 18 anni, venne mandata dalla madre in Sudafrica al seguito dell’attivista pacifista inglese Emily Hobhouse, soprannominata la “Ghandi del Sudafrica”, con la missione di insegnare l’arte del merletto e del rica- mo alle donne nei villaggi boeri, decimati e ridotti a miseria dalle due guerre contro gli Inglesi. Lucia soggiornò per circa due anni nella regione agricola di Koppies presso Città del Capo, dove fondò una scuola di ricamo connessa con quella di Casamassella, che restò attiva fino alla fine degli anni ‘30. Quando fece ritorno in Italia visse a Bari. Dopo essersi sposata e separata con un noto luminare della Medicina, Donato Gargasole, tornò a Casamassella; qui assunse la direzione della fabbrica di tabacco di proprietà della famiglia e aprì una scuola insieme ad un laboratorio di tessitura, creando disegni originali che poi traduceva in termini tecnici, riportandoli in numeri e quadretti colorati sulla carta a mo’ di spartito. Il ciclo della lavorazione del suo opificio era completo; comprendeva la coltivazione del cotone, l’allevamento degli animali da lana e da seta, la tintura delle fibre e la loro tessitura, nonché la confezione e la rifinitura dei capi.

Giulia Starace

Giulia Starace  figlia minore di Carolina, nacque a Maglie il 17 luglio 1895. Dall’età di 13 anni, dopo una brutta malattia curata in Svizzera, trascorse il resto della vita con la madre Carolina, prima a Maglie e poi a Casamassella, collaborando al laboratorio di tessitura, dirigendo e amministrando l’azienda agricola e infine prodigandosi in attività di beneficenza e di assistenza rivolte alla popolazione locale. Molto nota in paese per la sua generosa disponibilità, negli anni difficili del dopoguerra aveva istituito un ambulatorio di prima assistenza medica. Chiunque avesse avuto un problema in paese sapeva di poter bussare alla porta della “Signorina Giulia” e di ricevere da lei aiuto, assistenza, consiglio. Era una donna libera e intraprendente, amava cavalcare, viaggiare e guidare: fu una delle prime donne nel comune di Uggiano ad avere la patente. La sua ricerca di spiritualità la portò a contatto con la Comunità Ecumenica delle Sorelle dell’Eremo di Campello sul Clitunno e ad agire secondo la filosofia steineriana, conosciuta probabilmente grazie alla cugina Lucia de Viti de Marco. Era, per natura, una avanguardista e una sperimentatrice.


Intervista  a Maria Cristina Rizzo  (avvocato e Presidente della Fondazione)

È colpa di un operatore culturale non aver conosciuto adeguatamente una importante realtà come “Le Costantine” o c’è stato qualche deficit comunicativo da parte della Fondazione?

Da un po’ di tempo si sta dando troppa importanza alla comunicazione e poca alla sostanza delle cose. Noi abbiamo sempre lavorato per cercare di essere all’altezza delle missioni che ci ha lasciato Donna Giulia. Se poi quello che abbiamo fatto non è stato adeguatamente comunicato, onestamente, la cosa non ci tange, per la semplice ragione che non abbiamo  bisogno di essere visibili. Noi abbiamo la necessità di riuscire a fare bene quello in cui ci stiamo impegnando: formazione, accoglienza, tessitura, sociale, agricoltura. Non abbiamo fatto della comunicazione la nostra ragione di vita, sebbene siamo passati su tutti i canali radiotelevisivi nazionali e internazionali, pubblici e privati, da Sky alle reti Rai e Mediaset.

Quindi crede che la comunicazione sviluppata dalla Fondazione attorno a Giulia Starace, Lucia Starace, Lucia De Viti De Marco, Carolina De Marco e Harriet Luthor Dunham, le protagoniste di questa vicenda, sia stata adeguata?

Diciamo che non per caso siamo arrivati ad avere la pubblicazione di un libro, scritto da Elena Laurenzi docente dell’Università del Salento, attraverso un progetto finanziato dalla Regione Puglia. Quello che ci mancava era proprio un racconto fondato su fonti certe e non per trasmissione orale. Dalle testimonianze orali avevamo una ricca documentazione delle nostre “benefattrici”, io amo definirle in questo modo, ma ci mancava un lavoro frutto di una ricerca più scientifica e sistematica, in grado di studiare e aggregare fonti documentali che ci raccontassero in modo organico le opere di queste donne straordinarie. Mi lasci anche precisare che sono stata proprio io, sin dall’inizio del mio incarico di presidenza della Fondazione a farla conoscere a livello accademico attraverso la professoressa Marisa Forcina di Unisalento. Io credo che le nostre “benefattrici” abbiano fatto politica con la “P” maiuscola, perché la politica è un’arte nobile, non è come la definizione che detesto, ma che va tanto di moda “merda e sangue”.

La politica è un’arte nobile perché si occupa della “res publica” e le nostre “donne” in ogni azione hanno fatto politica, e nella generosità delle loro e delle mie azioni c’è sempre una “vision” politica. Con Elena Laurenzi stiamo allestendo una mostra che si chiama “Le anime del tessile”, finalizzata proprio a raccontare sul piano storico l’opera di queste donne, ivi compresa la missione di Lucia Starace in Sudafrica, vista non solo come supporto alla formazione di donne tessitrici, ma anche come messaggio pacifista, dato il contesto in cui si era venuta a creare, e come gesto di generosità. Ciò che mi ha affascinato e colpito in questa missione è stato anche il fatto che Carolina De Marco, la madre di Lucia abbia mandato una figlia quasi adolescente dall’altra parte del mondo. Ancora oggi faremmo fatica a mandare una figlia a operare in luoghi insicuri e sconosciuti come quelli che definiamo da terzo mondo. Lei, invece, spinse sua figlia ad andare, non solo, ma quando se ne dovette tornare, al termine dei due anni della durata del corso, dalla testimonianza dalle lettere dello zio paterno, risulta che fu sollecitata a rimanere per non incorrere nel rischio di disperdere il lavoro fatto. È questa dedizione verso gli altri che io sento a me molto vicina, la generosità è un sentimento che mi appartiene.

Precisando allora meglio, la mia obiezione sul deficit di comunicazione, mi riferivo proprio alla necessità che quanto lei ci sta raccontando, forse, l’opera di queste donne andrebbe illustrata meglio, magari proprio con finalità divulgative.

Guardi che i ragazzini qui vengono a trovarci spesso in visita. Noi lavoriamo moltissimo con le scuole, con la Facoltà di Architettura dell’Università di Bari abbiamo fatto anche un protocollo che ci vede ospiti di molti laureandi che qui studiando e scrivendo fanno le loro tesi di laurea. Questa esperienza come esempio di buone pratiche è stata riportata anche negli Stati Uniti, abbiamo appena terminato di ospitare due stagiste per un corso sui costumi di scena. La Regione Puglia ha inserito nel piano dell’offerta formativa questi corsi che servono a creare quelle maestranze che possono essere di supporto all’industria cinematografica. Noi siamo anche Ente di Formazione ed a me piace dire; “È vero che noi non siamo andati in Africa, ma l’Africa è venuta da noi”. Molti dei nostri corsisti sono ragazzi africani, di quelli che hanno sfidato le acque del Mediterraneo per intenderci, ragazzi spesso molto fragili, della categoria che definiamo minori non accompagnati, che una parte politica vede come zavorre, a noi piace vederli come risorse. Questi ragazzi da noi studiano per tre anni ottenendo una qualifica professionale e consentendogli un eventuale prosecuzione degli studi. Per consentire una gestione migliore del settore formazione abbiamo aperto una sede a Maglie e siamo orgogliosi di accompagnarli spesso sino alla sede lavorativa. Molti di loro sono richiesti, prima di terminare gli studi da imprese, sia nel settore della ristorazione che in quello della ricettività, proprio per la garanzia che offre il nostro percorso formativo.

Quale delle cinque “benefattrici” l’ha più colpita o sente più vicina?

Tutte e cinque, anche se mi piace il “femminismo pratico” di Etta (Harriet Luthor Dunham). Non so tra lei e Carolina chi ha avuto più influenza, ma l’idea che una donna nobile non dovesse fare beneficenza spicciola, bensì emancipare le donne attraverso un lavoro che ne garantisse dignità e autonomia economica mi affascina. Una emancipazione vera, insomma, libera dai cliché che vuole la donna relegata a svolgere lavori manuali, rispettabilissimi intendiamoci, ma un lavoro intellettuale, creativo in quanto la tessitura e il ricamo sono lavori creativi e quindi consentire alle donne di allargare la possibilità di esprimere le proprie potenzialità. Mi sento particolarmente vicina a Carolina per il fatto di essere accomunate dalla perdita di un figlio. Lei ha perso una bambina più piccola rispetto a mio figlio e una donna che reagisce con forza alla perdita di un figlio ha vinto la sfida con il mondo. Sua figlia, Giulia Starace, ha fortemente voluto la Fondazione, che nasce per sua volontà. L’atto costitutivo insieme allo statuto sono stati elaborati da lei che è vissuta in modo quasi francescano, in povertà per non dilapidare il patrimonio e lasciarlo alla Fondazione. In Lucia De Viti De Marco emerge un forte senso di dedizione agli altri che si riscontra con l’adozione di una ventina di bambini poliomelitici che da Casamassella, spesso su segnalazione di Giulia, vengono ospitati nella sua villa di Fregene. Quasi una casa famiglia dove vengono chiamati istitutori privati e medici per istruire e curare i ragazzini ospiti con metodi estremamente innovativi.

Come si sono incrociati la Fondazione “Le Costantine” e Maria Cristina Rizzo?

Io sono stata sindaco di Uggiano La Chiesa e quindi di Casamassella per due legislature. Il sindaco per statuto della Fondazione, fa parte del Consiglio di Amministrazione e sono entrata a farne parte all’età di 38 anni sino al 2007. Diciamo che prima del mio ingresso, la Fondazione andava avanti per inerzia e senza molto entusiasmo, data anche l’età avanzata di quasi tutti i membri del Consiglio di Amministrazione. Molte delle volontà di Donna Giulia sono rimaste sulla carta e dal 1984 fino al 1998 la Fondazione è sostanzialmente sopravvissuta a sé stessa. È stata anche sede di una Comunità Terapeutica nello spirito del lascito, ma senza consistenti ripercussioni sociali ed economiche. Durante i miei due mandati di sindaco sono stata piuttosto attiva con diversi progetti e iniziative, ho pensato soprattutto che fosse necessario ringiovanire il gruppo di gestione convincendo molti giovani compagni di strada a darmi una mano. È infatti durante la mia sindacatura che viene inaugurato nel 2002 il laboratorio di tessitura e nel 2006 apre la struttura ricettiva la “Casa di Ora” per cui a fine mandato è stato naturale cooptarmi prima nel Consiglio di Amministrazione e da questo essere eletta Presidente nel 2008.

Il laboratorio di tessitura rappresenta l’attività cardine della Fondazione, venendo addirittura identificato con “Le Costantine”, soprattutto, dopo l’incontro con Maria Grazia Chiuri la direttrice artistica di Christian Dior. Quali margini di crescita potrà determinare il vostro rapporto con la Maison parigina, rimanendo fedeli alla volontà di Donna Giulia che desiderava far restare i giovani salentini nella propria terra?

Non mettiamo mai limiti alla Provvidenza, le ultime commesse di Dior ci hanno già consentito di allargare il personale addetto ad una trentina di unità. Una delle “mission” che mi sono data dopo la perdita di mio figlio, proprio come desiderava Donna Giulia, è quella di creare occupazione. Sono stata a Milano per incontrare altri potenziali committenti e siamo in movimento per raggiungere questo obiettivo.

Il risultato occupazionale sin qui raggiunto può essere l’elemento di maggiore orgoglio della Fondazione, alla luce della esperienza storica della tessitura a Casamassella, che vantava nel 1907 una scuola con 500 allieve?

Ecco, questo è un elemento che mi inorgoglisce moltismo, perché è stata una difficilissima scommessa personale investire nel laboratorio di tessitura. E qui devo ricordare un importante contributo in questa battaglia da parte di Irene Merico un’altra consigliera della Fondazione. Quando sono diventata Presidente, il laboratorio affrontava importanti criticità, ma ci siamo rimboccati le maniche e dopo undici anni siamo ancora qui.

Possiamo dire che è stato il periodo più critico?

Ne abbiamo discusso molto nel Consiglio di Amministra- zione. Le difficoltà del laboratorio erano reali e l’ipotesi di chiudere quell’esperienza era ragionevole. Ma alla fine tutti abbiamo deciso di non demordere. Fortunatamente avevo delle esperienze pregresse con altre aziende, che ero riuscita a rimettere in sesto ed è successo anche alle Costantine. “Ma ce te mangi la capu?” mi sentivo dire, ed ho faticato non poco per resistere, perché io avevo la mia visione, avevo degli obiettivi e soprattutto ci ho creduto, perché devi fortemente crederci.

Potremmo definire Maria Grazia Chiuri una moderna Carolina De Viti De Marco?

Io sono una femminista, lo sono sempre stata, ho sempre fermamente creduto nelle lotte femministe e non mi sento soltanto femminista, io mi sento “Femminazza”, cioè una persona che con tutte le difficoltà, anche se aggredita, affronta. E non ti senti di meno rispetto all’uomo, tu dimostri con l’azione quello che vuoi fare. Marai Grazia Chiuri ha esaltato le donne salentine sotto questo profilo. Donne, come nella pizzica, che esplodono nell’affrontare il dolore; gridando, piangendo, sbattendo, ballando, ma combattono e alla fine lo vincono. Questo è il concetto di “Femminazza”, una donna che riesce a dominare e a vincere. Ed a vincere sempre con grande generosità, perché una differenza sostanziale tra matriarcato e patriarcato sta nel fatto che in quest’ultimo l’uomo comanda con imperio, nel matriarcato la donna si mette a disposizione di tutti. Quindi, secondo me, Maria Grazia Chiuri ha colto l’essenza della donna salentina, che lavora, che si emancipa, che combatte e che vince. La nostra realtà è  di donne che tra mille difficoltà non hanno mai abbandonato il campo,  che nonostante le occasioni per chiuderei battenti, non hanno mai mollato. Qui  alle “Costantine” c’è un importante lavoro di squadra e nessuno ha voglia di mollare.

di Mario Blasi


Mario Blasi è un freelance, formatosi prima presso il Liceo Scientifico dell’Institut auf dem Rosenberg (San Gallo – Svizzera), e poi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia (DAMS) all’Università di Bologna con Umberto Eco. Ha all’attivo diverse regie teatrali e per il teatro ha pure scritto e fatto l’attore continuando a praticarlo soprattutto in ambito didattico. Ha fatto parte dello staff di progettazione della Notte della Taranta per la quale ha curato  nei primi anni  il Festival itinerante e tutto il settore della comunicazione. Dal 2002 ha all’attivo più di cinquanta corsi Pon come esperto teatrale e di tecnologie multimediali applicate alla didattica.

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