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sabato, Aprile 20, 2024

Piccole storie di libri vecchi

Due presidenti e un poeta

Lo sanno tutti: Vittorio Bodini (1914 – 1970), fra i maggiori poeti italiani del ‘900, tanto da essere ospitato, nel 1983, nella collana degli “Oscar Mondadori” con un libro considerato ormai un mito, è forse fra i pochi che sono riusciti a tenere insieme il nord e il sud della Puglia e a superare vecchie rivalità campanilistiche. Nato a Bari da famiglia trasferita a Lecce, con remote radici a Taranto e nella provincia brindisina, egli riuniva in sé i caratteri del levantino avventuriero del rigoroso addetto ai lavori e del colto borghese di periferia. Per chi non lo sapesse – ma credo siano in pochi – basta ricordare il Don Chisciotte da lui tradotto e curato, uscito a puntate su “Il Tempo” fra l’autunno del ’64 e la primavera del ’65, una sorta di regalo che fece a se stesso per i suoi 50 anni, con le stupende illustrazioni di Salvator Dalì, che lo precedeva di dieci anni e festeggiava, invece, i 60 anni. Aveva esordito come futurista sulle pagine del giornale diretto dal nonno Pietro Marti ed era approdato alla cattedra universitaria di Letteratura Spagnola: ma non si tratta che di particolari, del contorno appuntato della sua grande carriera in poesia. Niente di meno provinciale di lui dunque, sempre in bilico tra Bari e Lecce, niente di più europeo, sempre indeciso tra Italia e Spagna: una vocazione alla teatralità fra Garcia Lorca, San Giuseppe da Copertino e Cocumola, paese ormai celebre perché da lui reso immortale, un barocco in presa diretta con forti ascendenti civili, per dirla in due battute.

Perchè Bodini? Semplicemente per raccontare di un libro e di un suo “parente-antenato” del quale si parlava in famiglia insieme ad un altro personaggio celebre, il questore Benedetto Bodini, poi gratificato col titolo di cavaliere per aver contribuito alla salvezza di Mussolini in occasione dell’attentato del ’26 al Campidoglio: del primo il poeta si compiaceva, del secondo preferiva tacere.

Il libro si intitola Discours…sur le rehaussement et diminutions del monnoyes tant d’or que d’argent e fu scritto in disaccordo di opinioni con quanto aveva sostenuto nei suoi Paradoxes pubblicati in precedenza, nel 1566, Jean de Malestroict, poco noto ma importante studioso francese di economia. L’autore, Jean Bodin (1530 – 1596), passato alla storia più per il suo Démonomanie des Sorciers, cioè la Demonomania degli Stregoni, datato 1587 e subito messo all’indice dei libri proibiti, e per il precedente Six livres de la Republique (1576), aveva elaborato una sua teoria per intendere il fenomeno dell’aumento dei prezzi nella seconda metà del secolo. Malestroict, autorevole consigliere del re di Francia, una specie di Sottosegretario al Ministero dell’Economia, pensava che la presenza in Europa di gran quantità di oro e argento in seguito alla scoperta dell’America, non avesse influito sull’andamento dei prezzi: non si doveva insomma essere preoccupati. Bodin invece, più concretamente, guardando da una parte alla crescita della spesa pubblica e dall’altra alla cosiddetta “tosatura” delle monete d’oro (che venivano limate per ricavarne oro puro), auspicava che si mettesse un freno alla incondizionata “rivoluzione” dei prezzi, provocata proprio dall’offerta sul mercato di metalli preziosi in progressivo aumento.

Vittorio Bodini

Della rarità dei Paradoxes, del Discours e della loro centralità nel dibattito che interessò e continua ad interessare gli specialisti, Vittorio Bodini, da bibliofilo qual era, doveva probabilmente essere informato se all’occorrenza emergeva la memoria del capostipite Bodin. Ho brevemente riassunto quanto rivelano le pagine di un altro esponente impegnato della famiglia, Giuseppe Montemurro, che per non rompere con la tradizione si è stabilito a Taranto ed ha raccolto aneddoti noti e meno noti, memorie importanti ed episodi minori, in uno zibaldone ancora informe ed in via di completamento sulla storia della famiglia Bodini. Bibliofilo anche lui come il poeta, non è dato intendere se fra i preziosi libri da lui posseduti vi sia anche il preziosissimo libretto o se abbia potuto localizzarlo e prenderne visione presso altra collezione, per poi farne oggetto di studio.

1917, Vittorio Bodini bambino in piedi

Ma di un’altra copia sicuramente a me è nota la presenza in Italia, una copia direi “mitica” della quale mi piace riferire un aneddoto perché è di quelli che si raccontano nei cenacoli degli appassionati del libro antico, anche se il protagonista non è il nostro Vittorio, pur essendone la collocazione cronologica non lontana dagli anni in cui si aggirava “a piedi, magrissimo…per trovare libri usati”, come lui stesso si descrive, con intuito innato ed immutata passione per il pezzo raro o d’eccezione, negli anni fiorentini, quando ne trovava di “sconvolgenti, decisivi per la vita”, da Proust a Joyce, da Campana a Montale, a tutti gli altri, che filtrati dalla sua inimitabile sensibilità, sarebbero in qualche modo confluiti nei suoi versi.

Il fortunato possessore era Raffaele Mattioli, intellettuale di grande spessore che vedeva nel libro antico non solo una forma d’investimento ma un mezzo per generare cultura. Aveva infatti fatto acquistare la gloriosa casa editrice napoletana di Riccardo Ricciardi, ed era naturalmente oltre che un intenditore, un esigente e raffinato bibliofilo. Ma era, soprattutto, Presidente della Banca Commerciale Italiana ed amico di Luigi Einaudi “collega economista collega editore e collega collezionista”, come spesso lo definiva. Quando Einaudi fu nominato Presidente della Repubblica, nel 1948, Mattioli andò a trovarlo al Quirinale per salutare il vecchio amico e fargli gli auguri: dopo lo scambio dei convenevoli  il colloquio si fece più intimo e cordiale e ad un certo punto il Presidente chiese, quasi distrattamente, ma con precisa strategia, a Mattioli se aveva ancora il Bodin. Alla sua risposta affermativa osò l’affondo e disse: “Vuoi cedermelo ora?”. La risposta dell’amico rivale fu secca anche se pronunciata con tono gentile: “Ora meno che mai, eccellentissimo Presidente!”.

1953, fiera del vino a Lecce

Quando, sette anni dopo, nel 1955 Einaudi lasciò la presidenza, Mattioli si recò nuovamente a Roma e si ripetè la cerimonia dell’insediamento: ma questa volta aveva cambiato idea ed aveva con sé il libro tanto desiderato da Einaudi, una vera sorpresa, che gli donò per ricordo e che fu, fra i tanti oggetti ricevuti, il più gradito. E fu simpatica la risposta che dette a chi gli chiedeva come mai quel giorno il Presidente fosse apparso particolarmente in forma ed assai più contento con gli ospiti che si erano succeduti dopo di lui: “Potreste capirmi – disse – se vi parlassi di autore, titolo, e note bibliografiche di un libro di economia del ‘500? E ci credereste se vi dicessi che dietro quel suo sorriso ed il guizzo fulmineo dell’occhio si nascondevano decenni di ricordi, di amichevoli schermaglie per libri introvabili, ed infine di trionfale soddisfazione mista a gratitudine e complicità per il Bodin cedutogli dall’eretico, che poi sarei io?”. L’episodio è anche ricordato da Maria Corti nel suo I vuoti del tempo e glielo ho sentito raccontare personalmente più di una volta: a lei mancava però il nesso Bodin – Bodini e la leggenda familiare che risaliva dal poeta al giurista studioso di filosofia economia e…stregoneria. La Corti conosceva bene Mattioli e la gustosa scenetta riemergeva di tanto in tanto nella sua elegante conversazione, ma chissà se Bodini, che lei conosceva, ne era al corrente, e se mai fra loro ne avevano parlato: certo non avrebbe potuto immaginare, il nostro Vittorio, questi “amichevoli conflitti” fra presidenti e questo inatteso secondo tempo sorprendentemente giocato fra le pagine di un libro del ‘500.

a cura di Alessandro Laporta

 

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